Ivana Scalco, pittrice

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Critica

Natura Viva

Natura Viva

di Giorgio Segato Padova, febbraio 2000

Natura Viva [1]

Parte prima

Scrissi della pittura di Ivana Scalco Rizzo già una trentina di anni fa, quando allestiva le sue prime mostre personali a Bassano e ad Asiago. Allora scavava nella memoria, ne ricercava pagine e lacerti dilavati, in via di smarrimento, segni e figure affioranti nello spazio saturo di un'emozionata retrovisione, resa con le magiche densità di cerette e pastelli, oppure nel gesto scritturale di una grafica corsiva, decisa, spigolosa e tutta tesa ad esprimere disagio, ricerca di spazio esistenziale ed espressivo, di espansione della sensibilità e della coscienza. La sua poetica risentiva del bisogno di sedare un'inquietudine fonda, di trovare armonia ed equilibrio tra lo spazio intimo, quello della memoria, del ricordare (restituire al cuore gioie segrete e sensazioni luminose dell'infanzia e dell'adolescenza) e del rammentare (focalizzare a livello razionale i momenti di esperienza, di attraversamento) e la proiezione nel futuro, in un mondo avvertito come complesso, difficile, doloroso. Così, da una parte il suo segno esprimeva una drammatizzazione con scansioni espressionistiche, allungamenti espansivi dello spazio interiore, verso illuminazioni che rammentavano in certi grafemi le sequenze dei 'miracoli' (cavallo e cavaliere) di Marino Marini, dall'altra si ripiegavano in atmosfere tutte interiorizzate, non di rado di rievocazione religiosa, o di contemplazione della maternità, o anche di rilettura, più come rivisitazione con la memoria dei sensi e mentale che di rappresentazione del paesaggio.
Natura intima (i moti ondivaghi dei sentimenti) e natura ambiente erano i due termini di oscillazione della sua sensibilità ora accesa ora acquietata, come sincopata in percorsi introspettivi, che richiedevano tecniche miste di elaborazione insistita, come per far emergere tracce di un vissuto fuori fuoco. Ha continuato a lavorare per sé e con i giovani allievi della scuola con naturale discrezione, ma approfondendo tanto la conoscenza e l'applicazione di tecniche quanto le ragioni profonde del proprio dipingere, dell'esigenza di proiettare sulla carta e sulla tela ora le urgenze della sua emotività, ora i sedimenti della memoria, o il desiderio di sollecitare la prensilità dei sensi in una realtà materiale che oggi tende a sfuggire, e proporsi nell'evanescenza inconsistente della virtualità o dell'informazione confezionata.
Mi pare che la sua pittura, come gesto e anche come contenuti, sia profondamente cambiata, e proprio in rapporto al mutato senso culturale del dipingere: non più, o non solo un 'creare immagini', come insisteva Carlo Ludovico Ragghianti nella sua definizione dell'arte, ma anche un ritrovare, attraverso l'arte, un rapporto "reale" con le cose, con le atmosfere, con la natura, il paesaggio, le figure che ci stanno intorno, ritrovare ed eccitare la prensilità e la risonanza dei sensi, così da ridestare le insorgenze intime, nutrire la capacità immaginante, fantastica, onirica.
Progressivamente la sua pittura si è scaldata e surriscaldata: dalle tenere contemplazioni della femminilità e dalle inquietanti figurazioni narrative di ispirazione religiosa e sociale, è trascorsa a un espressionismo poetico, e anche lirico, affidando alle intensità timbriche delle cromie la volontà di raccontare un maturato vitalismo, il suo interesse per una restituzione di energia, la sua nuova percezione della natura come luogo di origine e di appartenenza, che procura una nostalgia panica, a volte inebriante, altre volte acutamente dolorosa.
L'impasto cromatico si è fatto corposo e i rapporti di colore ben saturi, per campiture omogenee ed espanse, che provocano un dilatarsi della sensazione e della percezione, un moltiplicarsi di ritmi di luce, fatti quasi sonori dagli accostamenti di netto contrappunto, tra un post impressionismo cézanniano, il fauve e l'espressionismo. Il colore non insiste su plasticità volumetriche e sulla resa in profondità dei piani, ma, piuttosto, su una suggestione di tattilità e di sonorità timbrica che ci induce a sentire gli spazi come da dentro, a farne parte quale che sia la misura dell'opera. Invece che la dimensione è qui il colore ad assorbirci all'interno.
Il viaggio a ritroso di Ivana Scalco ha, evidentemente, l'obiettivo di ritrovare la pittura, la forza cantante del colore come medium conoscitivo ed espressivo, senza presunzione di innovazione tecnica o tematica, ma esibendo una necessità poetica e un'autenticità stilistica indubitabili.
Voglio dire che la ripresa dei modi di un espressionismo controllato, e fatto risuonare nell'intimo come forza vitale, corrisponde in modo diretto alle diffuse nostalgie dei nostri sensi di un rinnovato rapporto con la natura, un rapporto messo in discussione per la stragrande maggioranza delle persone del mondo industrializzato e tecnologico dai modi di vita, dalla velocità, dalla cultura mediatica, dalla scarsa educazione all'utilizzo del tempo libero, dalla saturazione di spazi, dall'abitudine a ogni tipo di servizio sempre più automatizzato, dagli inquinamenti atmosferici, acustici, alimentari, dallo smarrimento di riferimenti etici. Ci vorrà molto tempo ancora prima che la telematica possa davvero liberare l'uomo e dargli la capacità di dedicare il tempo a disposizione alla migliore coltivazione di sé o anche semplicemente a "imparare a guardare il tempo che scorre", lasciando spazio al libero modellarsi e modularsi dei pensieri e delle immagini. Questo ritorno di Ivana Scalco al colore vuol significare, quindi, un recupero emozionale della realtà rispetto alla visione impressionista, riproponendo più la tavolozza degli stati d'animo che la tavolozza, sia pur vibratile, della natura: una ricerca, dunque, tutta affidata alle qualità espressive del colore, in modalità che Van Gogh aveva anticipato identificando l'arte con la vita, con l'energia mobilissima che sono tanto la vita quanto la materia.

Natura Viva [2]

Parte seconda

È appunto questo ritmo di colore/materia/emozione/energia che la Scalco intende ritrovare in sé e nella rappresentazione che evoca; e al suo interno trama e tesse liberamente, come incontri sempre sorprendenti, soluzioni cromoplastiche da Van Gogh, da Cézanne, da Gauguin e da Matisse, dagli espressionisti del Ponte, fino a certe calde modulazioni del corpo cromatico di sensibilità veneta, da Gino Rossi, con le sue derivazioni bretoni, a Springolo, Garbari, fino a certe asperità e acidità gialloverdi (ritratti) di Corrente (Gauli), ma anche franco-fiamminga e tedesca (fino ai Neue Wilden, Nuovi Selvaggi, pur senza l'aggressività segnica che li connota). D'altra parte il panorama di queste restituzioni di canto intimo della natura si estende ampiamente sia in verticale, nel tempo, che in orizzontale, nello spazio, perché la sonorità del colore ha sempre significato forte adesione emotiva, ricchezza di impulsi energetici.
Ma, in ogni caso, l'intento di Ivana Scalco è quanto mai lontano dalla citazione passiva, dall'esercizio, e si caratterizza, piuttosto, come poetica di una sincera e personale ricerca di sensuale ed emozionata partecipazione alla natura, volontà di restituzione ai sensi e ai terminali nervosi di capacità prensile e di reattiva risonanza interiore. Sentire la vita, sentire le cose, vivere il paesaggio, i luoghi, l'aria attraverso il colore, riprovare l'ebbrezza, la gioia, la libertà dell'accensione cromatica come ridestarsi del corpo nella natura, tutto questo cercano ed esprimono le opere di Ivana Scalco degli anni più recenti e quelle di oggi: nature morte, marine dalla finestra, oliveti contro rutilanti soli meridiani, fiori in interni, piante contro spiagge e rive, giardini e volti che, nella semplificazione strutturale, cercano un'espressività tutta 'trasparente' negli sguardi e nel rapporto tra scansione segnica, densità e intensità cromatiche.
Denunciano, evidentemente, un'esigenza di scuotimento dall'opacità e dal torpore dei sensi, prodotti dal passivo assorbimento della cultura televisiva e di immagini confezionate, elaborate per ridurre al minimo lo sforzo di partecipazione, di adesione, di rielaborazione personale, studiate come sintesi autosufficienti, autoreferenti e di rapido consumo, che non lasciano tracce e tantomeno sedimenti su cui ricomporre una memoria e, che così, comportano smarrimento e cancellazione anche della parola come esplicarsi in racconto del vissuto, dell'esperito, degli strati dei ricordi di azioni e di partecipazione (come attenzione e assunzione sensitiva in rapporto alla realtà, alla natura, al paesaggio effettivamente naturale, non artificiale o artificioso, non telematico, ma con tutte le seduzioni possibili di odori, sapori, suoni, contatti, colori e le infinite irradiazioni di ricordi sinestetici, che esse portano con sé dal fondo del patrimonio genetico, dalle esperienze prenatali e del periodo immediatamente dopo la nascita.
Mentre fino a prima della fotografia, del cinema e della televisione l'immagine dell'artista serviva a provocare nell'osservatore la traduzione, in altre immagini e in fantasia operante, della parola, ora lo strapotere delle immagini e il loro rapido scorrere sulle pagine della mente, sembra impedire la parola, abbreviare il racconto, minimalizzare l'esperienza diretta e la sua risonanza poetica, cosi che diventa necessario tornare a dipingere riflettendo non tanto o no solo sull'immagine, quanto sulle sensazioni, e raccontando le sensazioni, dando ad essi enfasi e capacità connotativa non soltanto dell'oggetto visto ma principalmente dell'emozione e delle eco che esso suscita.
Mi pare che proprio su questa via si muova con chiara consapevolezza Ivana Scalco, ritrovando l'entusiasmo e il fervore di un tempo, focalizzando un obiettivo ricco davvero di sviluppi già assai soddisfacenti e ancora carichi di promesse e di significato nell'ambito della promozione, provocazione e comunicazione delle potenzialità e necessità, non solo descrittive, ma soprattutto di sintesi narrativa della pittura, e della capacità che essa ha di scuotere e riattivare la visione e con essa la memoria e la prensilità dei sensi.
I temi che predilige in questi più recenti lavori sono immediatamente rivelatori del suo voler corrispondere in modo adeguato a una sorta di profonda nostalgia dello sguardo per luoghi sereni, incontaminati, ricchi di umori naturalistici, di linfa: uno sguardo capace di escludere gl'inquinamenti, gli artifici, e invece di cogliere, ed esaltare, le armonie, i contrappunti ritmici che si aprono da una finestra, reale o immaginata, verso vedute marine, fondendo riflessi di vetri, di cielo e di mare, vibrazione di fronde e di onde, inalando aria trasparente; o che rendono intima risonanza lo scorcio di un vecchio casolare olandese tra gli alberi, o il ritorno al tramonto nel villaggio innevato; o l'esultanza vitalistica di un vasetto di fiori, di un boschetto lungo la riva del mare, o le piante secolari di Una vecchia villa veneta, emblema di armonia tra terra, acqua, cielo, uomo, lavoro e ozio.
Particolarmente riuscite mi sembrano le opere in cui, alla curata e rapida traduzione ambientale ed atmosferica, si coniuga un valore aggiunto di significato, come in "Attesa", dove il volume di una poltroncina di vimini dialoga con rami fronde e acque, segnalando al centro un vuoto, una pausa, un silenzio; quelle in cui il fervore emotivo si affida a pulsazioni cromatiche forti, come "Pianta in rosso sulla riva", "In un interno" e "Ortensie in interno" nelle quali lo sguardo dell'osservatore è accompagnato a 'comprendere' un percorso in profondità (e dunque anche verso l'intimo) dal primo piano segnato dall'albero, dal vaso o dai frutti rossi al 'quadro nel quadro' (o finestra) che sul fondo o di lato si apre al paesaggio, indugiando ora sulle barche, o sulle dalie e poi sullo sgabello o sul panneggio, sulla tenda e sulla teiera. Ogni dettaglio è soggetto al 'nexus rerum' (implicita connessione tra le cose dipinte), che serra la composizione in forma; ed ogni particolare si inserisce armoniosamente nel concerto generale anche in virtù di una profondità di campo ottenuta per mezzo della luce/colore piuttosto che per sintassi prospettica concettuale. Gruppi di alberi creano la suggestione del campo lungo e arabescato, con forti contrasti di luce e ombra: evidentemente, un rinvenire nella natura la metafora delle pieghe dell'anima, coni d'ombra che rendono ancora più scavate le sensazioni, le impressioni, l'inquietudine e la gioia esistenziali, così come i volti dei frequenti ritratti accertano la volontà di esprimere, nella semplificazione dei piani e nella carica tensione cromatica, caratteri ed umori ben più che fisionomie: in ogni caso natura risentita con forte adesione emozionale, come natura viva, pulsante e coinvolgente.

La prima personale

La prima personale, come il primo romanzo, come la prima raccolta di versi, è sempre racconto autobiografico.
E l'autore, al momento di scegliere le opere da presentare, si scopre in uno stato di tensione che nasce dall'intima, inquietante esigenza di offrire al pubblico, insieme, gli ultimi e più validi esiti e la storia della propria ricerca nel susseguirsi di esperienze diverse e di tentativi significanti: la storia del divenire, del farsi capacità di esprimere della sua originaria capacità di 'segnare'.
Ivana Scalco racconta questa sua tensione, che è esplicita volontà di impostare un dialogo, in modi e segni semplici, immediati, ricchi di una genuina spontaneità che viene dall'entusiasmo e che scopre i suoi contenuti e le sue forme in un sentire vibrante di schietta femminilità. La sua non è ancora immediatezza 'maturata': è, piuttosto, impulsivo e giocoso slancio emotivo, che a volte sembra esigere la pura, asciutta espressività di un disegno per linee essenziali, altre volte più pieni e più intensi contrasti di bianco e nero, con soluzioni di gusto espressionista, o armonici giochi di allungate figure coniche e di macchie di colore che, nelle variazioni dei toni e delle tecniche d'esecuzione, dicono come Ivana Scalco sappia cogliere in piena disponibilità le oscillazioni e le sfumature dei propri stati d'animo e delle proprie aspirazioni...

Per Ivana

Giorgio Segato, novembre 1971

Essenziale poesia
di immagini perdute
colte in libero
fluire dall'intimo,
vibrate nel segno
che lacera il silenzio
sull'affresco sbiadito
della nostra memoria.

Testi critici

  • pennellate-luce
    Il nirvana dei desideri di Joan Lluís Montané
  • forza-suggestione-visiva
    La forza della suggestione visiva di Lino Lazzari
  • partecipazione-vita
    Partecipazione alla vita di Giorgio Segato
  • pennellate-luce
    Pennellate di luce di Maria Angela Cuman
  • sogno-realta
    Sogno e realtà di Bruno Rosada
  • cromatismo-rivelatore
    Un cromatismo rivelatore di Alessandra Bruscagli
  • cromatismo-rivelatore
    Urgenti cromie di Giorgio Segato
  • femminilita
    Ivana Scalco di Patrizia Raineri
  • lettera-ivana
    Lettera per Ivana di Lucia Raise

Opere recenti

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Left Right

Sogni, illusioni e realtà

Quel che sento lavorando a un quadro è il desiderio di esprimere di volta in volta le immagini che affiorano nel mio intimo. È, soprattutto, un bisogno di riallacciare confidenza con l'esperienza vissuta tanto nei sogni e nelle illusioni dell'infanzia e della giovinezza, quanto nella realtà di ieri. Forse perché in questo continuo verificare e confrontare mi sembra di scoprire il mio personale segreto per una costante disponibilità a nuove esperienze... (Ivana Scalco, 1971)

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Ivana Scalco, pittrice

Ivana Scalco Bassanese (Cartigliano), già insegnante di discipline artistiche, risiede a Padova da oltre quarant'anni. Comincia l'attività artistica nel 1967 e dal 1970 partecipa ad esposizioni collettive e a concorsi nazionali, ottenendo premi e segnalazioni di merito.

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